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La Reale palazzina di caccia

La Reale Palazzina di Caccia di Stupinigi è un gioiello architettonico settecentesco nato per gli svaghi della corte e dal 1997 riconosciuto patrimonio dell’Umanità UNESCO, facendo parte del sito seriale delle Residenze Sabaude.

Si ringrazia la Fondazione Ordine Mauriziano per la gentile collaborazioe

L'emblema della Palazzina di Caccia

Il cervo, emblema di Stupinigi, è opera dello scultore torinese Francesco Ladatte e risale al 1766. In origine era posizionato sulla cupola della Palazzina ad indicare il carattere venatorio della residenza; fu sostituito da una copia modellata da Riccardo Cordero nel 1992. Oggi l’originale si trova al centro della sala Scuderia Juvarriana, ambiente in origine adibito a scuderia, per diventare rimessa di carrozze e successivamente spazio espositivo per alcuni membri di casa Savoia.

Il piano architettonico

La struttura è a pianta centrale, con un corpo alto tre piani interamente dedicati al salone. Da qui si dipanano due lunghe braccia laterali, che si chiudono e riaprono a tenaglia, creando un cortile d’onore ottagonale chiuso dall’elegante cancellata, una piccola corte che arriva a lambire il viale diretto a Torino. L’edificio è a croce di Sant’Andrea, completato da altre due brevi ali rivolte verso il giardino posteriore. Due maniche laterali si allungano “a rovescio”, dai primi gomiti delle gallerie anteriori verso il corpo principale, e formano i padiglioni di levante e di ponente. Questa non fanno capo al disegno originale, ma si sviluppano nel 1739 a cura dell’architetto Giovanni Tommaso Prunotto, voluti da Carlo Emanuele III, i padiglioni sono destinati ai due figli, avuti dalla seconda e dalla terza moglie: Vittorio Amedeo I, duca di Savoia e futuro re, e Benedetto Maurizio, duca di Chiablese.

Ritrovamenti

Sono stati ritrovati nei sotterranei della Palazzina e restituiti al pubblico, grazie ad un attento restauro, 12 medaglioni lignei raffiguranti i capostipiti di casa Savoia, utilizzati come apparati effimeri per le celebrazioni di corte. Alle pareti della sala degli Scudieri vengono riproposte le diverse fasi della caccia al cervo su tele di Vittorio Amedeo Cignaroli.

Il giardino zoologico

Giardino zoologico venne costruito all’interno della reggia nell’anno 1814, subito dopo la Restaurazione.[13] Gli animali a disposizione della gioia della corte, erano infatti inizialmente stati accolti presso la località di Vicomanino, in una serie di locali di dipendenza riadattati allo scopo.

Gli animali vennero trasferiti dal 18 marzo 1826, su istanza del conte Giovan Battista Camillo Richelmy di Bovile, gran cacciatore di Sua Maestà, il quale chiese che gli animali presenti nel complesso potessero essere trasferiti nel padiglione a sinistra (attuale fabbricato San Carlo), in particolare per salvaguardare gli animali esotici provenienti da climi molto diversi da quello piemontese.

Questa ménagerie si occupava non solo di nutrire ed allevare animali per il diletto della corte e per il giardino zoologico dei sovrani sabaudi, ma anche di rifornire la selvaggina necessaria per le cacce che nella tenuta si tenevano ancora regolarmente. I daini nella tenuta di caccia erano circa 2 000.
L’elefante Fritz di Stupinigi in una stampa d’epoca.

Fu nuovamente il conte Richelmy, sempre nel 1826, a interessarsi affinché venisse predisposto lo spazio necessario ad accogliere un grande elefante africano che il governatore dell’Egitto ottomano, Mehmet Ali, aveva donato a Carlo Felice di Savoia. L’anno successivo, il 4 giugno, l’animale (chiamato Fritz) fece il suo solenne ingresso nella tenuta di Stupinigi, venendo affidato alle cure del suo guardiano personale, Stefano Novarino. L’enorme animale rimase al suo posto sino al 3 novembre 1847, quando uccise con un colpo di proboscide il nuovo guardiano ventinovenne affidatogli. L’incidente, unitamente ai costi eccessivi per il suo mantenimento (circa 17 000 lire annue), portò alla fine alla soppressione dell’animale, che avvenne la sera dell’8 novembre 1852 tramite asfissia, con esalazioni di acido carbonico che durarono per sei ore consecutive. L’elefante aveva 53 anni alla sua morte. Le carni dell’animale vennero vendute a caro prezzo, mentre la pelle venne posta nell’attuale Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.

Lo stesso Richelmy evidenziò nella sua relazione come, tra le specie, facenti parte della ménagerie reale a Stupinigi figurassero “un giaguaro maschio d’America, due orsi femmine della Savoia, due sciacalli maschi dall’Africa, un casuario, dei canguri, un lupo, alcuni cinghiali, molti uccelli tra cui un’aquila ed alcuni avvoltoi”.

Sempre nel 1852, Vittorio Emanuele II, che pure fu uno dei sostenitori della ripresa di Stupinigi come palazzina di caccia, decretò il trasferimento degli animali rimasti al giardino del Palazzo Reale di Torino, compresi i cavalli utilizzati per le battute.

La storia della palazzina

Le Origini

I Savoia, ad ogni modo, riuscirono a rientrarne in possesso quando Emanuele Filiberto ne reclamò la proprietà nel 1564 espropriandolo ai Pallavicino. Per volontà del duca, il castello e le terre adiacenti vennero quindi lasciate all’Ordine Mauriziano. Dal momento che il gran maestro dell’Ordine era contestualmente anche il capo di Casa Savoia, il fortilizio di Stupinigi si trovò ad essere gestito direttamente dai vari sovrani sabaudi. Fu proprio durante il periodo di Emanuele Filiberto che le ricche terre adiacenti al castello divennero uno dei luoghi prediletti dal sovrano e dalla sua corte per le battute di caccia, insieme ai boschi di Altessano (dove a metà Seicento venne costruita la reggia di Venaria Reale).

 

La trasformazione in palazzina di caccia del re

L’11 aprile 1729, Vittorio Emanuele II – allora aveva 63 anni e regnava da ben 54 – autorizzò l’esecuzione del progetto per l’edificazione di un padiglione di caccia nella piana di Stupinigi.

Ma il sovrano, nel 1730, ad un anno dall’inizio dei lavori della palazzina, abdicò: ormai era vecchio, stanco e malfermo di salute; si ritirò, perciò, in esilio volontario, a Chambery.

L’anno dopo, tornò a Torino, con il proposito di riprendere il potere ma, essendo considerato l’artefice di una trama politica, venne arrestato.

Suo figlio, Carlo Emanuele III, fu il continuatore della costruzione e si affidò, per la prosecuzione dell’opera di Juvarra, all’architetto Benedetto Alfieri che concluse l’edificazione nel 1733.

Il nuovo sovrano trasformò Stupinigi in un luogo di svaghi raffinati, assecondato in ciò dalla bella moglie, Polissena d’Assia, che adorava feste e luminarie, corse e cacce, cene e balli.

L’interno della Palazzina è diviso in quattro appartamenti (Nuovo, Della Regina, Del Re e Dei Duchi) che gravitano attorno ad un salone centrale davvero regale, grandioso, ricco di stucchi ed affreschi: lì si svolgevano sontuosi ricevimenti e balli.

Gli appartamenti sono arredati con mobili di vario stile, in prevalenza impero e barocco, con affreschi, sovrapporte e sculture, tutte opere di artisti torinesi o residenti a Torino tra il 1732 ed il 1785.

 

Dall’800 a oggi

Napoleone Bonaparte soggiornò al palazzo dal 5 maggio al 16 maggio 1805, prima di recarsi a Milano per cingere la Corona Ferrea. Qui egli discusse con le principali cariche politiche di Torino, accogliendo il sindaco, la magistratura e il clero, con a capo l’arcivescovo Buronzo. Sembra che il cardinale, severamente redarguito dall’imperatore per le sue presunte corrispondenze con Carlo Emanuele IV di Savoia, sia stato oggetto di una discussione che ebbe come risultato la sua sostituzione con il vescovo di Acqui Terme, monsignor Giacinto della Torre.

Nel 1808, seppur sempre per brevi periodi, soggiornò alla palazzina Paolina Bonaparte con il marito, il principe Camillo Borghese[8], allora governatore generale del Piemonte.

Nel 1832 la palazzina tornò ad essere proprietà della famiglia reale e il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra Vittorio Emanuele II, futuro primo re d’Italia, e l’austriaca Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena. Il complesso venne quindi ceduto al demanio statale nel 1919 e nel 1925 fu restituita, con le proprietà circostanti, all’Ordine Mauriziano.

Nell’Ottocento ospitò per diversi anni un elefante indiano maschio, che era stato regalato a Carlo Felice. L’elefante Fritz divenne famoso, ma dopo qualche anno l’elefante impazzì e incominciò a distruggere ciò che lo circondava (i segni sono ancora visibili sulle parti in legno); venne abbattuto e donato al museo zoologico dell’università di Torino. Attualmente l’animale imbalsamato è in mostra presso il Museo regionale di scienze naturali di Torino. Dal 1919 la palazzina di Stupinigi ospita il Museo di arte e ammobiliamento, riunendo al suo interno molti mobili provenienti dalle residenze sabaude oltre ad altri appartenenti alle corti italiane pre-unitarie, come quella dei Borboni di Parma e del loro Palazzo Ducale di Colorno.

Il lungo progetto di restauro, incominciato nel 1988, è stato curato dagli architetti Roberto Gabetti, Maurizio Momo, e dallo studio Isolarchitetti

Immagini

Esterno palazzina reale

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Ultima modifica: 4 Giugno 2021 alle 00:18
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