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La zona di Stupinigi

Esterno palazzina reale

La zona di Stupinigi (Stupinis in piemontese) è l’unica frazione del comune di Nichelino. Ha circa 200 abitanti, e vi sono collocati la celebre Palazzina di caccia, capolavoro di Filippo Juvarra, con l’annesso parco naturale che ospita anche il Castelvecchio di Stupinigi, più un castello medioevale che fu residenza dei marchesi Pallavicino.

Il legame tra la città di Nichelino e Stupinigi porta la data del 26 Luglio 1868, quando Vittorio Emanuele II, su richiesta degli stessi abitanti di Stupinigi, la decreta separazione della frazione da Vinovo e stabilisce l’accorpamento al suolo nichelinese a partire dal 1° Gennaio 1869.

 

Un po' di storia...

Terra di confine tra Torino e altri feudi, il territorio definito in età medioevale Suppunicum si estende su una zona di bosco e terreno agricolo a Stupinigi Candiolo, presentava già un piccolo castello, intorno al 1340-1350, fu venduta dalle famiglie dei Signori di Cavoretto ai “Principi” (con diploma Imperiale dei Solari), nobili Astigiani. La primitiva Palazzina fu costruita nel 1360 da Bonifacio Solaro. Il castello, chiamato Castelvecchio, fu abitato dai Savoia-Acaia che nel 1439 lo vendettero al marchese Rolando Pallavicino. Nel 1563, la proprietà fu ceduta a Emanuele Filiberto, quando questi trasferì la capitale del Ducato di Savoia da Chambéry a Torino. In seguito Emanuele Filiberto donò il territorio di Stupinigi all’Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro, noto oggi come Ordine Mauriziano.

Nel 1729 Vittorio Amedeo II, nella sua veste di Generale Gran Maestro dell’Ordine, decise la costruzione dell’attuale Palazzina come residenza della famiglia reale e della nobiltà torinese durante le battute di caccia.
Nel 1832 la Palazzina passò alla famiglia reale, nel 1919 fu ceduta al Demanio statale, e nel 1925 ritornò all’Ordine, così come le proprietà circostanti.

La frazione fu separata dal territorio comunale di Vinovo e aggregata a quello di Nichelino il 26 luglio 1868.

La Palazzina di Caccia è in restauro dal 1987. Su di essa e sull’adeguamento museale lavorano gli architetti Roberto Gabetti (1925-2000), Aimaro Oreglia d’Isola e Maurizio Momo.

Gli Edifici Rurali

Il gioco prospettico dei poderi, all’ombra del cervo, accompagna chi si avvicina alla reggia reale provenendo da Torino. Le due ali di cascine costeggiano viale Torino e avvolgono la Palazzina in un abbraccio, prima di lasciare spazio alla distesa dei boschi. La disposizione dei rustici che formano il concentrico segue rigide regole architettoniche e gerarchiche: gli edifici lungo lo stradone si susseguono intorno a sei corti per lato. Materiali, geometrie, spazi e rapporti sono attentamente studiati per servire ed esaltare il cuore nobiliare. Nato con la Reggia nei disegni di Filippo Juvarra, il complesso è ritenuto un modello praticamente unico di struttura tardo barocca. Le fabbriche rurali si piegano alle necessità delle battute di caccia e delle feste di corte e organizzano le proprie attività ad uso e consumo della vita regale.

Castelvecchio

Il forte medievale a pianta quadrata con torri angolari è posto sul fianco destro della Palazzina di Caccia, proprio alla svolta della strada da Vinovo. E’ qui l’embrione della frazione, che all’inizio del IX secolo appartiene all’abbazia della Novalesa. Tra il XIV e XV secolo la proprietà passa ai signori di Cavoretto, ai Solaro e poi ai fratelli Carlo e Oddenino Pallavicino, che diventano marchesi e signori di Stupinigi. Ancor prima che Filippo Juvarra trasformi la zona, il pluricentenario castello è simbolo di potere dei marchesi e il territorio costituisce un’apprezzata risorsa venatoria.

Con Torino soggiogata alla dominazione francese, il possedimento passa al conte Cossè di Brissac e, nel 1562, è ceduto ai cavalieri De Enrice e De Cremieux. Nella trattativa, però, qualcosa va storto e il prezzo pattuito non viene pagato. I beni sono quindi venduti al conte Matteo di Cocconato, figura ombra per il duca Emanuele Filiberto. Il 29 gennaio 1573 lo stesso duca dichiara che l’acquisto è a suo nome e fa dono di beni, giurisdizioni e diritti all’Ordine Mauriziano.

Chiesa parrocchiale

Al Castelvecchio è strettamente legata anche la storia della parrocchia di Stupinigi. Proprio nei pressi della dimora nobiliare sarebbe stata collocata la prima chiesa, annessa alla proprietà dei marchesi Pallavicino e attigua al cimitero.

Il 7 luglio il cardinale Domenico Della Rovere, arcivescovo di Torino, erige la parrocchia già intitolata alla Visitazione della Beata Maria Vergine. Con lo stesso atto sono concessi ai Pallavicino il diritto di patronato e la nomina del curato pro-tempore. Diritto che passa all’Ordine Mauriziano con i beni donati da Emanuele Filiberto che, nel 1574, provvede anche ad alcuni beni per la chiesa.

L’edificio attuale è costruito su disposizione di Carlo Emanuele III nel 1738 e ufficialmente aperto al culto il 7 settembre 1739. Varie fonti d’archivio inducono ad attribuire il progetto all’architetto Giovanni Tommaso Prunotto, successore di Filippo Juvarra nella realizzazione della Palazzina di Caccia.

La facciata è in mattoni, su due livelli sfalsati con doppio timpano. Il campanile quadrato con due campane, eretto sul lato destro dell’edificio è ultimato nel 1743 e, su proposta del Prunotto, vi è collocato un “orologio sonante”. Sulla facciata esterna a est c’è la meridiana, recentemente restaurata a cura dell’Ordine Mauriziano.

Il versetto “Deus, Deus meus ad te luce vigili” si rifà al Salmo 62, dove il re Davide in esilio nel deserto  dell’Idumea rivolge fin dall’alba il cuore e la mente a Dio con la preghiera. Come spesso si nota negli orologi solari, anche in questo caso è riportata una sentenza “Umbra urge et urna”.

Il Camposanto

Tra il Castelvecchio e la parrocchia, a destra, c’è la via che porta al cimitero. E’ un lungo viale alberato  che vale la pena di percorrere guardandosi intorno per scoprire un volto inedito dell’affascinante borgata. Si rivelano inaspettati squarci della Palazzina di Caccia, della Parrocchia, del Castello medievale e delle cascine affacciate su questo lato. L’ultimo tratto del viale è costellato da 20 piccole targhe commemorative,  con nomi di morti e dispersi in battaglia. Una più grande recita: “I caduti di Stupinigi disseminati su tutte le terre in due mondiali conflagrazioni qui vivono nel ricordo, nell’amore, nel suffragio 1915/1918 – 1940/1945”. Il camposanto è in fondo a destra, il primo campo è più recente, il secondo accoglie lapidi dell’inizio dell’Ottocento.

Risalgono alla prima metà del Novecento quelle nell’ala sinistra dedicate al alcuni uomini legati all’Ordine Mauriziano. Domenico Lanza, direttore generale dell’Ordine Mauriziano nel 1949, Giuseppe Dellavalle, guardia mauriziana decorata al valor militare, scomparso nel 1925, Stefano Goffi cavaliere economo dell’Ordine  sepolto nel 1918.

Curiose sono le targhette che indicano i numeri dei lotti, le stesse in smalto bianco e blu abitualmente usate per i numeri civici di casa, quasi a sottolineare un’ideale continuità tra le dimore. La cappelletta al fondo, di fronte all’ingresso, è chiusa, ma all’interno, da una piccola grata sulla porta, si intravedono le statue della Madonna e del Bambino.

Santuario di Vico Manino

Sotto la giurisdizione della parrocchia di Stupinigi è il santuario di Vico Manino, in aperta campagna a un paio di chilometri dalla Palazzina di Caccia, svoltando a destra dalla strada che porta a Vinovo. Un po’ discosta dalla grande cascina omonima, la piccola chiesetta dedicata al nome di Maria Vergine e Madre di Dio svetta in una radura in cui gli unici alberi fanno da corona alla facciata. Il santuario è aperto solo in occasione di particolari celebrazioni, a fine maggio per la ricorrenza della Visitazione della Vergine, e la seconda domenica di settembre quando la statua della Madonna è portata fin qui in processione. È però possibile visitarlo facendo riferimento all’ufficio parrocchiale che può indirizzare a chi ne custodisce le chiavi.

La strada bianca che porta alla chiesa si perde intorno alla cascina, ma in occasione delle celebrazioni, il grande cortile del rustico apre cortesemente i cancelli e si trasforma in parcheggio, consentendo un accesso diretto. Anche solo dall’esterno Vico Marino è un’oasi di pace che merita una visita.

L’interno è affrescato, ma il particolare che più attira l’attenzione è la ricca collezione di ex voto: disegni, acquerelli, tipici portaritratti a cuore in metallo e tante vecchie fotografie. E quanto resta di una devozione ancora assidua che, negli anni, è stata oggetto di vari furti. Le scene ritratte nei quadretti ripropongono episodi di vita agricola con carri ribaltati, persone malate o in pericolo, animali sofferenti e poi frammenti di guerra.

Le origini del santuario sembrano affondare in epoca romana e tra la gente del posto è consueta la denominazione la Madonna del rumanin. Nel Seicento, comunque, il podere di proprietà della comunità di Vinovo e acquistato dall’Ordine dei Santissimi Maurizio e Lazzaro e, poco lontano, viene eretto un pilone votivo con l’effige della Madonna con Bambino Gesù. Intorno a questo cuore crescerà la piccola chiesa che ancor prima di svilupparsi, il 21 gennaio 1807, è stralciata dal legame con Vinovo e unita alla Parrocchia di Stupinigi.

Il primo ampliamento della cappella risale al 1817 quando un morbo colpisce la zona mietendo vittime. Il curato Don Onorato Caire promuove una processione di penitenza al pilone della Madonna, per implorare la liberazione dal male. La grazia è ottenuta e dà il via alla costruzione del Santuario, potenziato e arricchito di particolari architettonici nel corso dei secoli.

Sulla parete della sacrestia una lapide ricorda l’anno di edificazione e il nome del capomastro, Borsaro Pietro Lucanese. Al primo cinquantenario risale l’altare in marmo e, nel 1920 quando si festeggia in ritardo il primo centenario, viene costruita la sacrestia ed è innalzato il campanile. Per i festeggiamenti solenni sono poste le corone d’argento dorato sul capo della Madonna e del Bambino.

Da quel lontano 1817 il corteo di preghiera è tradizione. In origine la processione era a piedi, con la Madonna a spalle. Poi la tecnologia porta al carro con il trattore e, quindi all’uso di un furgoncino. Negli anni Sessanta la processione implica troppi problemi e si opta per una cerimonia “dimezzata”, con appuntamento al santuario dove già attende la statua, trasportata in sordina. Solo nel 2002 i fedeli riprendono animo e si torna all’antico, alla sfilata con il carro addobbato e trainato da cavalli. L’appuntamento è alle ore 9,00 davanti alla parrocchia, mentre la celebrazione ha inizio alle ore 10,00. Prima di richiudere la porta alle ore 16,00, si recita il rosario con la benedizione, impartita secondo gli antichi precetti. In occasione della festa di Vico Marino è allestita una mostra di fotografie storiche.

La prima piccola campana in bronzo, donata dalla compagnia delle Figlie di Maria e trafugata in anni recenti come i candelabri e la cornice della pala d’altare, ha come madrina la Regina Margherita di Savoia. Tra il 1926 e il 1927 è realizzato il pavimento in marmo del presbiterio e vengono sostituite le porte laterali, poi lo zoccolo in marmo. Dopo la seconda guerra mondiale, con le offerte dei fedeli sono edificate le due cappelle laterali al presbiterio.

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Dipende da: Stupinigi
Ultima modifica: 3 Giugno 2021 alle 23:44
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