Le Origini
I Savoia, ad ogni modo, riuscirono a rientrarne in possesso quando Emanuele Filiberto ne reclamò la proprietà nel 1564 espropriandolo ai Pallavicino. Per volontà del duca, il castello e le terre adiacenti vennero quindi lasciate all'Ordine Mauriziano. Dal momento che il gran maestro dell'Ordine era contestualmente anche il capo di Casa Savoia, il fortilizio di Stupinigi si trovò ad essere gestito direttamente dai vari sovrani sabaudi. Fu proprio durante il periodo di Emanuele Filiberto che le ricche terre adiacenti al castello divennero uno dei luoghi prediletti dal sovrano e dalla sua corte per le battute di caccia, insieme ai boschi di Altessano (dove a metà Seicento venne costruita la reggia di Venaria Reale).
La trasformazione in palazzina di caccia del re
L'11 aprile 1729, Vittorio Emanuele II - allora aveva 63 anni e regnava da ben 54 - autorizzò l'esecuzione del progetto per l'edificazione di un padiglione di caccia nella piana di Stupinigi.
Ma il sovrano, nel 1730, ad un anno dall'inizio dei lavori della palazzina, abdicò: ormai era vecchio, stanco e malfermo di salute; si ritirò, perciò, in esilio volontario, a Chambery.
L'anno dopo, tornò a Torino, con il proposito di riprendere il potere ma, essendo considerato l'artefice di una trama politica, venne arrestato.
Suo figlio, Carlo Emanuele III, fu il continuatore della costruzione e si affidò, per la prosecuzione dell'opera di Juvarra, all'architetto Benedetto Alfieri che concluse l'edificazione nel 1733.
Il nuovo sovrano trasformò Stupinigi in un luogo di svaghi raffinati, assecondato in ciò dalla bella moglie, Polissena d'Assia, che adorava feste e luminarie, corse e cacce, cene e balli.
L'interno della Palazzina è diviso in quattro appartamenti (Nuovo, Della Regina, Del Re e Dei Duchi) che gravitano attorno ad un salone centrale davvero regale, grandioso, ricco di stucchi ed affreschi: lì si svolgevano sontuosi ricevimenti e balli.
Gli appartamenti sono arredati con mobili di vario stile, in prevalenza impero e barocco, con affreschi, sovrapporte e sculture, tutte opere di artisti torinesi o residenti a Torino tra il 1732 ed il 1785.
Dall'800 a oggi
Napoleone Bonaparte soggiornò al palazzo dal 5 maggio al 16 maggio 1805, prima di recarsi a Milano per cingere la Corona Ferrea. Qui egli discusse con le principali cariche politiche di Torino, accogliendo il sindaco, la magistratura e il clero, con a capo l'arcivescovo Buronzo. Sembra che il cardinale, severamente redarguito dall'imperatore per le sue presunte corrispondenze con Carlo Emanuele IV di Savoia, sia stato oggetto di una discussione che ebbe come risultato la sua sostituzione con il vescovo di Acqui Terme, monsignor Giacinto della Torre.
Nel 1808, seppur sempre per brevi periodi, soggiornò alla palazzina Paolina Bonaparte con il marito, il principe Camillo Borghese[8], allora governatore generale del Piemonte.
Nel 1832 la palazzina tornò ad essere proprietà della famiglia reale e il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra Vittorio Emanuele II, futuro primo re d'Italia, e l'austriaca Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena. Il complesso venne quindi ceduto al demanio statale nel 1919 e nel 1925 fu restituita, con le proprietà circostanti, all'Ordine Mauriziano.
Nell'Ottocento ospitò per diversi anni un elefante indiano maschio, che era stato regalato a Carlo Felice. L'elefante Fritz divenne famoso, ma dopo qualche anno l'elefante impazzì e incominciò a distruggere ciò che lo circondava (i segni sono ancora visibili sulle parti in legno); venne abbattuto e donato al museo zoologico dell'università di Torino. Attualmente l'animale imbalsamato è in mostra presso il Museo regionale di scienze naturali di Torino. Dal 1919 la palazzina di Stupinigi ospita il Museo di arte e ammobiliamento, riunendo al suo interno molti mobili provenienti dalle residenze sabaude oltre ad altri appartenenti alle corti italiane pre-unitarie, come quella dei Borboni di Parma e del loro Palazzo Ducale di Colorno.
Il lungo progetto di restauro, incominciato nel 1988, è stato curato dagli architetti Roberto Gabetti, Maurizio Momo, e dallo studio Isolarchitetti